Negli ultimi settant’anni il modello economico di matrice capitalista ha consentito a centinaia di milioni di persone di elevare le proprie condizioni materiali di vita. Tuttavia, questi progressi sono stati ottenuti imponendo un prezzo altissimo sia ai sistemi naturali che a quelli sociali.

Da una parte, inquinamento di aria, terra e acqua, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità; dall’altra, livelli di diseguaglianza estrema e delegittimazione delle istituzioni democratiche che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. È evidente che qualcosa non funzioni e che l’economia non può non essere “rivista e corretta” alla luce delle realtà e alle sfide del Ventunesimo secolo. Non c’è più tempo, l’impresa quale “soggetto sociologicamente complesso” deve proporre al modo un approccio di tipo “ribaltante”: facendo ripartire l’economia del futuro, non dalle sue astrazioni, ma dagli obiettivi a lungo termine che l’umanità si è data, per poi chiedersi quale tipo di pensiero economico, e conseguentemente di azione, possono darci più possibilità di raggiungerli. Cinque “approcci” per il cambiamento Sono cinque i fattori chiave attorno ai quali può ruotare il cambiamento: popolazione, distribuzione, aspirazione, tecnologia e governance. Il motivo per cui il tasso di crescita della popolazione mondiale è importante, è abbastanza ovvio: più individui abitano il pianeta, più risorse servono per soddisfare i bisogni e i diritti di tutti. Da qui discende la necessità di stabilizzare la popolazione umana. Come? Aumentando gli investimenti pubblici per la salute e l’assistenza dei neonati e dei bambini, per l’istruzione femminile, per la cura e la libertà di scelta in ambito riproduttivo e, in generale, per riequilibrare i poteri tra i generi in modo che le donne acquisiscano un ruolo centrale nella pianificazione famigliare.

Se la popolazione è rilevante, la distribuzione lo è altrettanto perché la concentrazione di ricchezza e opportunità in capo a pochi spinge il genere umano a valicare i cosiddetti “confini”. Pensare che il 10 % della popolazione più benestante emetta il 45% delle emissioni di gas serra, mentre il 50 % più in difficoltà contribuisce solo per il 13%, costringe inevitabilmente a riflessioni eticamente contrastanti. O al miliardo di persone che sono malnutrite, per cui basterebbe il 3% delle scorte alimentari mondiali che però si perde nelle pieghe di un sistema agro-alimentare che spreca, dalla fase di raccolto e stoccaggio fino al consumo a tavola, oltre un terzo del cibo prodotto.

Un terzo elemento determinante è l’aspirazione: tutto ciò che le persone ritengono dia qualità alle loro vite e che oggi si misura in particolare in termini di possibilità di consumo e luoghi che abitiamo. Da oltre un decennio, per la prima volta nella storia, oltre metà dell’umanità vive in metropoli e città, e tutte le proiezioni indicano che entro il 2050 il 70% dell’umanità vivrà dentro confini urbani. L’inurbamento, però, oltre ad alimentare il consumismo offre l’opportunità di soddisfare i bisogni primari degli individui e delle famiglie, quali alloggi, trasporti, cibo ed energia, in modi molto più efficienti degli attuali. Sul 60% della superficie, che si stima diventerà urbana entro il 2030, si deve infatti ancora costruire e quindi la scelta delle tecnologie utilizzabili (quarto fattore chiave) avrà implicazioni ecologiche e sociali di grande portata: “network di impianti a energia solare sui tetti, edifici auto-riscaldanti o auto-rinfrescanti, trasporti pubblici a basso impatto e prezzo conveniente, agricoltura urbana e peri urbana che sequestra carbonio, aumenta la qualità dei cibi e offre nuovi posti di lavoro”. Da ultima è la governance a giocare un ruolo decisivo, dal livello rurale a quello cittadino, dal livello statale a quello regionale e globale. L’innovazione delle forme di governance pubblica e privata che consentano di mediare le relazioni tra genere umano e natura ma anche le differenti aspettative tra Paesi, aziende e comunità, è il fattore che può innescare gli altri fattori chiave, (popolazione, distribuzione, aspirazione, tecnologia),  guidandoli verso la transizione ormai non rinviabile.

Siamo tutti coinvolti Lo sforzo di proporre la visione di un’economia globale in cerca di  un reale “Prospero Equilibrio” grazie alla sua concezione distributiva e rigenerativa, potrebbe apparire piuttosto ingenua, considerati i drammi che stiamo vivendo. Eppure, c’è un sempre più crescente numero di persone che “sognano un’alternativa possibile” e sono impegnate con tutte le loro forze per realizzarla. La nostra è la prima generazione che ha compreso appieno il danno che abbiamo arrecato al nostro pianeta, la nostra casa comune, e probabilmente è anche l’ultima che ha la possibilità di fare qualcosa. E sappiamo benissimo che abbiamo la tecnologia, la conoscenza e i mezzi finanziari per porre fine alla povertà estrema in tutte le sue forme: “Non abbiamo più bisogno di individui smart ma di intelligenza collettiva che eserciti la capacità di un sistema complesso di correggere i propri errori e far evolvere la propria struttura. Si chiama auto-organizzazione ed è una leva formidabile per scatenare un pensiero rivoluzionario”. (Donella Meadows, “Pensare per sistemi”).

Se i sistemi economici, che sono complessi, si evolvono, ogni esperimento contribuisce a orientare un nuovo futuro e rende tutti noi protagonisti di questa rivoluzione: “quando apriamo un conto corrente in una banca etica e investiamo in nostri risparmi in base al valore sociale e ambientale prima che finanziario: “quando dentro il mondo dei GAS ci assumiamo parte del rischio di un piccolo agricoltore e sviluppiamo nuove piattaforme di distribuzione organizzata, quando da imprenditori o manager ci preoccupiamo realmente dei nostri impatti sui lavoratori e le lavoratrici delle nostre catene di fornitura, quando partecipiamo alle campagne dei movimenti politici e di opinione che condividono la nostra visione. Quando facciamo tutto ciò, SIAMO IL CAMBIAMENTO CHE VOGLIAMO VEDERE NEL MONDO”.

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