di Giovanni Loche

Il cielo grigio su Piazza San Pietro sembrava specchiare il dolore di un pianeta in lutto, mentre migliaia di cuori battevano all’unisono per l’ultimo saluto a Papa Francesco, il pontefice del popolo, dell’abbraccio e della misericordia.

Una folla silenziosa portatrice di un dolore universale, si è riversata fin dalle prime luci dell’alba, in Piazza San Pietro e lungo gli itinerari prestabiliti; fedeli di ogni lingua e colore hanno varcato i confini del Vaticano, stretti in rigorosa preghiera. C’era chi reggeva foto sbiadite del Papa sorridente, chi mormorava «Grazie, Francesco» tra le lacrime. Tra loro, certamente quei poveri che lui aveva sempre cercato: senzatetto, migranti, malati. “Era nostro padre”, ha sussurrato Maria, una donna romana che ogni domenica ascoltava le sue parole all’Angelus.

La semplicità di Papa Francesco ha cambiato il mondo e sulla tomba di Pietro, la bara di legno grezzo ricordava la sua scelta di povertà evangelica. Nessun oro, nessun orpello. Solo il Vangelo aperto sul petto, simbolo di una vita spesa per gli ultimi. I cardinali in rosso, i leader mondiali in discreto raccoglimento, ma soprattutto la gente comune hanno riempito la piazza. Tra i presenti, anche Jorge, un ragazzo disabile che nel 2016 ricevette una carezza dal Papa durante un’udienza. “Mi ha insegnato che nessuno è invisibile”, ha detto stringendo una corona del rosario.

Durante l’omelia, le parole che scuotono il cuore sono quelle del cardinale Giovanni Battista Re che ha letto un passaggio del discorso più famoso di Francesco: “Costruite ponti, non muri. Siate custodi della creazione e della speranza”. Un grido che riecheggiava tra le colonne del Bernini, mentre i grandi schermi  in tutto il mondo hanno trasmesso immagini della sua tenerezza rivoluzionaria: il bacio al bambino deforme, la visita al campo profughi, le lacrime ad Auschwitz.

Quando le campane di San Pietro hanno suonato a morto, un silenzio irreale è sceso sulla folla. Poi, un applauso spontaneo, lungo, liberatorio. Come a dire: “Grazie per averci ricordato che l’amore vince tutto”.

Con la fine dei funerali papali il corteo funebre avanza lentamente tra due ali di folla, lungo via della Conciliazione, lo stesso tratto che Francesco percorse la sera della sua elezione, quando – da papa appena scelto – chiese alla folla: “Pregate per me”. Oggi, sono centinaia di migliaia le mani giunte a rispondere a quell’appello, mentre il feretro sfiora i luoghi della sua Roma adottiva: Ponte Sant’Angelo, dove amava passeggiare tra i turisti, fermandosi a benedire i bambini; via dei Coronari, con le sue botteghe antiche, testimoni della sua difesa degli artigiani; Piazza Navona, dove nel 2016 incontrò i senzatetto, lavando loro i piedi nella chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza.

Quando la basilica bianca di neve e d’oro appare in lontananza, un mormorio percorre la folla. Per Francesco, questo era un rifugio dell’anima: qui, il giorno dopo la sua elezione, venne a deporre fiori ai piedi della Salus Populi Romani, l’icona mariana che venerava con fiducia filiale. Qui tornava ogni volta che partiva o rientrava da un viaggio apostolico, come un figlio che cerca la madre.

Oggi, le porte della basilica sono aperte, accogliendo il suo corpo come in un abbraccio materno. Non lontano dall’ingresso, un gruppo di migranti, quelli che lui chiamava “fratelli respinti dall’egoismo del mondo”, regge un cartello con la sua frase più celebre: “Chi sono io per giudicare?”.

Francesco se ne va, ma il suo “sogno di una Chiesa povera per i poveri” resta. E oggi, il mondo tutto, unito nel dolore, gli promette di non tradirlo

Leave a Reply

  • (not be published)