Prima pagina
di Clara Fiscale
SONO LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IL PRINCIPALE BERSAGLIO DELL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO FISCALE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE NEL 2024.
Su un totale di 189.578 accertamenti ordinari eseguiti lo scorso anno, ben 81.027 – pari al 43% – hanno riguardato proprio le pmi. In particolare, le imprese di piccole dimensioni sono state oggetto di 73.056 accertamenti (38,5% del totale), mentre quelle di medie dimensioni hanno subito 7.971 verifiche (4,2%). A fronte di ciò, la maggiore imposta accertata per queste due categorie ammonta complessivamente a oltre 9 miliardi di euro, rappresentando il 63,9% del totale di 14,2 miliardi. Decisamente inferiori, per confronto, le attività ispettive rivolte ai grandi contribuenti, che si fermano a 1.677 accertamenti (0,9%).
È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa secondo cui il dato dovrebbe riaccendere il dibattito sulla distribuzione degli sforzi di contrasto all’evasione e sulla pressione fiscale differenziata per dimensione d’impresa. «I numeri confermano, ancora una volta, che le piccole e medie imprese italiane restano il bersaglio privilegiato del fisco. È l’ennesima dimostrazione di un accanimento selettivo e miope, che penalizza il tessuto produttivo più fragile e vitale del nostro Paese. Colpire le pmi è facile: sono più esposte, meno attrezzate sul piano legale e più vulnerabili sul fronte finanziario. Ma questa strategia non produce giustizia fiscale, né getta le basi per una riscossione più efficace. Anzi, genera sfiducia e alimenta un clima di ostilità verso le istituzioni. Unimpresa chiede da tempo una riforma equa e coraggiosa del sistema di accertamento: servono criteri proporzionali, una maggiore attenzione ai grandi patrimoni e strumenti premiali per chi si mette in regola. Basta con le logiche punitive a senso unico. Il fisco deve accompagnare lo sviluppo, non ostacolarlo» commenta il consigliere nazionale di…
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A Roma, tra i vertici del partito, si discuteva apertamente della possibilità di sostituirlo con un candidato più “unitario”, magari condiviso con il Movimento 5 Stelle. Il nome che circolava con più insistenza era quello di Sergio Costa, ex generale dei Carabinieri Forestali e ministro dell’Ambiente nel governo Conte.
I sondaggi confermavano il malcontento diffuso e preoccupante per l’ex sindaco di Salerno. Secondo una rilevazione pubblicata da “Il Sole 24 Ore” nel 2019, solo il 35,7% dei campani avrebbe votato nuovamente per De Luca. Un dato allarmante per un presidente uscente, che sembrava ormai aver perso il contatto con una parte significativa dell’elettorato. La sua leadership, spesso definita autoritaria e accentratrice, aveva creato fratture anche all’interno della sua stessa maggioranza. E mentre il dibattito politico si infiammava, la realtà quotidiana dei cittadini…
A SPASSO
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