Mario Cataluddi

 

 

NOUS SOMMES EN GUERRE” (SIAMO IN GUERRA).

 

Queste, le parole più volte ripetute dal presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron ai suoi compatrioti durante il suo discorso alla Nazione, nei primi giorni del marzo 2020, quando ogni popolo del globo, l’Italia in secundis dopo la Cina, iniziava a fare i conti con quella che presto sarebbe diventata la “pandemia da COVID-19”.

Ma cos’è la guerra? Uno scontro tra due fazioni opposte? Un affronto tra due eserciti contendenti? Le vittime che lascia dietro di sè il conflitto sono sempre tante, troppe, e troppo spesso, innocenti ed estranee alla natura stessa del contenzioso.

Siamo allora davvero in guerra? E se si, contro chi, di grazia? Contro un virus? Si puo’ davvero parlare di guerra nel caso di una situazione nella quale non sono implicati eserciti, né armi, dove non ci sono diatribe geopolitiche, ma che rileva piuttosto di politiche di gestione sanitaria?

Cio’ che è sicuro, è che la quasi totalità dei popoli mondiali vive da circa un anno, ancora oggi, in condizioni simili a quelle di uno stato di guerra. I media nazionali propinano ogni giorno, più volte al giorno, il bollettino con il numero di vittime.

Ai TG, non si parla d’altro. Scene di sfilate di camion militari che trasportano i corpi dei martiri dello scontro, delle corsie di ospedali ingombrate dai lettini, di respiratori artificiali, del personale sanitario stremato dai turni disumani.

Ogni cittadino pende dalle labbra del governatore per ascoltare i nuovi piani d’attacco e spera in parole positive di rivalsa contro l’avversario.

Coprifuoco, denunce, censure, asservilismo, caccia all’oppositore, depressione economica, indebitamento pubblico, crisi sanitaria, crisi culturale, aumento della povertà, tasso di disoccupazione alle stelle, diminuzione del livello dell’istruzione e dell’educazione delle nuove generazioni, fame, rabbia, paura.

Si, paura. In principio il timore era quello di doversi scontrare col nemico. Di andare al fronte e perire sul campo di battaglia, in una di quelle corsie di ospedali stracolmi.

Ma questo timore è stato in seguito gradualmente soppiantato da un altro. Quello di morire ugualmente, anche a distanza  dal fronte, senza onore, delle conseguenze stesse della guerra.

Si muore sempre più di fame, di depressione, di suicidio, di alcoolismo, di violenze coniugali, e di tanto altro. Morire, senza la speranza in un domani migliore.

E poi, a coronare il tutto, si aggiunge il caro, vecchio, senso di colpa.

Si, perchè se non si riesce a sopraffare il nemico, non è di certo a causa delle inutili e scellerate strategie messe in atto dagli ufficiali, ma bensi’ del soldato, che non si è addestrato abbastanza ! Allora ognuno dice a sè: “è colpa mia, è vero, se la guerra non è finita. Non sono stato abbastanza scrupoloso nel rispetto degli ordini del mio Generale! ”

E il commilitone che vuol far carriera dirà: “Si, è colpa tua! Vergognati! Devi essere punito!”

Insomma, paura e senso di colpa, sono il mix letale di emozioni che bloccano, come sanno bene i professionisti del coaching, il moto dinamico verso l’avanti, la proiezione nel futuro del soggetto o di un gruppo di individui, e quindi, di una società.

Una guerra è generalmente una lotta di potere e di dominio, mossa spesso dall’individualismo e dalla smisurata megalomania di coloro che governano una determinata società, giustificata indebitamente dalle sofferenze di un popolo che comunque continuerà a soffrire.

In ogni guerra ci sono dei responsabili, che vanno quindi giudicati e processati. Siamo allora davvero in guerra? Chi sarebbero allora i responsabili di questa guerra?

Ogni parola porta con sè il suo significato, e, se applicata, anche le sue conseguenze. Il verbo crea la realtà. Da qui l’importanza di far attenzione alle parole utilizzate in un discorso, sopratutto se fatto in pubblico.

In ogni caso, guerra o non guerra, in Italia, come in vari altri Paesi del mondo, bisogna ora pensare alla ricostruzione. Per costruire, vi è bisogno di eliminare le paure che bloccano il dinamismo.

Bisogna inventare e reinventarsi, capire dove sono stati commessi gli errori, e imparare dagli stessi. Bisogna progettare, fissare nuovi obiettivi, e credere. Credere nelle proprie potenzialità, in quelle del proprio Paese, e investire nei sogni, perchè solo chi sogna riesce a volare.

L’italia, ha di nuovo bisogno di decollare. Non sono di certo state le ambizioni politiche delle classi dirigenti che hanno mandato avanti la nostra società nel corso dei secoli, anzi. Ma sono sempre stati i sogni di ogni singolo abitante della penisola italica, che da millenni hanno permesso al nostro popolo di volare e di mostrare al resto del mondo, com’è dolce la vita lissu’ in alto.

La storia ci ha mostrato più volte la grandezza d’animo che si nasconde dietro le notre paure. Se pensate di non essere all’altezza, state commettendo un gravissimo errore. Pensate alla costruzione  di Roma, al Risorgimento e poi al Rinascimento. Raffaello, Leonardo, Michelangelo, il Botticelli, Bernini, il Veronese. Dal buio, è sempre rinata la luce.

Dopo le grandi guerre, il Made in Italy, la Ferrari, Lamborghini, Alfa Romeo, il grande cinema d’autore di Pasolini, di Fellini, De Sica, Sergio Leone, Morricone e qui mi fermo perchè altrimenti non mi basterebbero duecento pagine per citarli tutti.

Quindi, non ci sono scuse, il potenziale è in ognuno di noi perchè siamo semplicemente e magnificamente, Italiani! Dobbiamo ora essere tutti fieri e all’altezza delle nostre origini.

Allacciate le cinture, siate pronti perchè il decollo è ormai imminente. E se siete arrugginiti, rispolverate le ali, e fatevi aiutare se bisogno; i coach, i counselor, ed altri professionisti del settore sono a vostra disposizione.

A tutti voi, auguro un buon volo.

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