di Antonio Picariello

Dal Piemonte alla Campania il passo è breve per chi ha intenzione di trarre profitti dai rifiuti. E poco importa se l’impianto da costruire potrebbe sorgere in una zona che produce eccellenze agroalimentari. La storia ha inizio lo scorso giugno quando la torinese Energreen srl fa domanda per il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per la costruzione di un «impianto di produzione di biometano ottenuto dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti» nella zona industriale di Ponte Valentino (BN). Niente di strano se l’impianto fosse allocato lontano dalla città e in una zona adeguata. Invece Ponte Valentino dista solo 2 km da Benevento e la zona ASI che vi è ubicata, registra la presenza di eccellenze come Rummo e Nestlé che sarebbero costrette a delocalizzare, come hanno già denunciato in due rispettivi comunicati, per ovvia incompatibilità ambientale.

Sembra certo infatti che il progetto del biodigestore preveda un impianto capace di trattare 110.000 tonnellate l’anno di rifiuti organici, ben oltre le necessità dell’intera provincia sannitica che si ferma a 30.000. Il sospetto, lecito, è che si voglia creare un punto di raccolta per rifiuti provenienti da ogni parte della regione e non solo. Un vero e proprio business insomma per un investimento da oltre 40 milioni.

Inoltre dalla relazione tecnica presentata dall’amministratore di Energreen Gianluca Rossi e firmata dall’ingegnere Giovanni Ferrara, si evince che l’impianto potrebbe accogliere anche 20.000 tonnellate di fanghi. I rifiuti verrebbero trasformati parte in metano da incanalare nella rete nazionale e parte in digestato che separato dalla sua parte liquida (destinata alla fogna) alimenterebbe un termovalorizzatore con produzione di energia elettrica. Ulteriori voci di ricavo.

A quale prezzo per il territorio? Evergreen, come ovvio, nella sua documentazione minimizza gli “inconvenienti” pur ammettendo un significativo impatto di emissioni odorigene e inquinanti in atmosfera che tuttavia la società torinese ritiene compensati mediante le azioni di monitoraggio ambientale o di dismissione dell’impianto.

Sì avete letto bene: dismissione. Quindi prima lo costruiamo e vi paghiamo, poi però se inquina lo dismettiamo! E non finisce qui: sempre nello stesso documento sembrerebbe che la Energreen abbia messo sul piatto sostanziosi benefits di mitigazione e compensazione ambientale: sconto del 25% sui conferimenti di rifiuti da parte del Comune di Benevento, borse di studio per tesi di laurea sullo sviluppo sostenibile, progetti scolastici e molto altro. A pensar male sembrerebbe proprio che vogliano comprare la popolazione sannita!

Successivamente, ad agosto, l’Unità operativa Energia dell’ente regionale osserva che gli elaborati presentati “non sono esaustivi affinché la progettazione possa considerarsi di livello definitivo per carenza della documentazione relativa a tipologie strutturali, schemi e modelli di calcolo, relazione geotecnica, elaborati grafici del progetto, relazione idraulica sullo smaltimento delle acque”. In particolare per il termovalorizzatore annesso mancherebbero il dimensionamento di massima dell’impianto, gli schemi funzionali, la valutazione della producibilità attesa in termini di energia elettrica. A pensar male sembrerebbe pure che ci vogliano pure fare fessi!

Così a settembre la politica e la Confindustria locale corrono ai ripari e dopo i comunicati, tra gli altri, di Rummo e Nestlé si oppongono al mega impianto per tutelare le eccellenze che contribuiscono alla crescita e al benessere del territorio e attendono anche il parere dell’Università. Domanda: non era più semplice dire dall’inizio un bel NO chiaro sulla zona scelta per il biodigestore?

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