Il made in Italy arriva anche a questo Black Friday impreparato non solo sul fronte delle proprie piattaforme di commercio online, ma anche su quelle ‘terze’. Con la conseguenza che ad approfittarne è il made in China

Il Black Friday è sempre più digitale. Secondo le stime dell’Osservatorio eCommerce B2c, nei giorni compresi tra il Black Friday e il Cyber Monday gli italiani spenderanno online circa 1,5 miliardi di euro (il 15% rispetto al 2019). Complici i vincoli e l’impatto economico del Covid-19, il progresso è meno significativo dello scorso anno (+20%), ma la corsa continua. La Fismo (Federazione italiana settore moda di Confesercenti) teme che migreranno dai negozi fisici alle piattaforme online 83 milioni di vendite al giorno. A farne le spese soprattutto moda (25 milioni di euro), giocattoli (20 milioni) e tecnologia (15 milioni). Il punto però, come dimostrano i dati dell’osservatorio eCommerce, è che la tendenza non è legate all’epidemia. Dura da anni e non accenna a rallentare. Le campagne che pongono i negozi fisici in antitesi con le piattaforme online sembrano avere l’effetto di una secchiata in mare. E allora come se ne esce? 

Mattia Stuani, ceo di Xingu, e Giulio Cupini, general manager di Deliverti, guardano l’e-commerce da molto vicino, anche se da due prospettive diverse. Xingu è infatti un’agenzia che punta a far vendere su Amazon e vive all’interno della piattaforma. Deliverti sviluppa invece per le aziende spazi digitali propri. Entrambi individuano un chiaro ritardo delle imprese italiane. “C’è un tema di accessibilità ai capitali per fare innovazione e ci sono blocchi burocratici, ma paghiamo soprattutto un’arretratezza culturale importante”, afferma Stuani. Spesso manca la comprensione di cosa sia davvero l’e-commercio. Cioè un settore con meccanismi diversi dal punto vendita fisico. E non è solo un problema delle Pmi.

È vero, tra le piccole e medie imprese, spiega Stuani, c’è “un 60-70%” che non ha una visione chiara. Ma anche tra le società italiane con attività internazionale e con risorse dedicate al digitale c’è “un buon 40%” che fatica a stare al passo. Un imprevisto come la pandemia ha fatto subito emergere le differenze tra chi aveva già innovato e chi ha provato a farlo in una settimana: “Tutti si sono buttati ma senza avere idea del lavoro di un partner digitale”. Tutti possono aprire un negozio online in poche ore, ma per sviluppare una strategia che funzioni serve tempo. Anche perché, sottolinea Cupini, “il 70% del budget lo investiamo per fare formazione in azienda. Si fa fatica a far passare l’idea che il commercio elettronico non è parallelo alle vendite fisiche ma può sostenerle. Anche nel caso di piccole aziende”.

Si dice spesso che l’e-commerce possa ampliare il perimetro della propria attività perché internet non ha confini. Vero, sottolinea Stuani: “È un’opportunità gigantesca. Il produttore made in Italy può sfruttare uno stargate verso le altre nazioni”. Attenzione, però, perché “lo stargate è aperto in tutte e due le direzioni”. Si può arrivare ovunque ma può arrivare chiunque. Su Amazon Italia, ad esempio, il 40% delle partite Iva è cinese. C’è quindi un tema di concorrenza e la necessità di emergere dal rumore di fondo di una piattaforma gigantesca. “Amazon – aggiunge il ceo di Xingu – ha capito il potenziale del Made in Italy dedicandogli una vetrina. Ma serve una strategia che capisca i comportamenti del consumatore, marketing, analisi, advertising. Essere Made in Italy è un plus ma non un lasciapassare per il successo”.

“Non è semplice raccontare il valore aggiunto del Made in Italy”, aggiunge Cupini. “Affidarsi alle grandi piattaforme aiuta il processo di vendita ma non lascia competenze in aziende”. Questo non vuol dire che i propri spazi siano “alternativi” ma “paralleli ad Amazon”. Il gruppo di Bezos – afferma il general manager di Deliverti – può “dare visibilità ed essere il primo punto di contatto”, mentre “avere una presenza diretta è utile sia per avere maggiore marginalità sia per avere più controllo sulla distribuzione e sulla comunicazione”

Riecco la domanda di partenza: come se ne esce? Come possono le imprese italiane che fino a oggi si sono affidate solo alla vetrina recuperare il ritardo? “Prima di tutto occorre una riflessioni al proprio interno”, suggerisce Stuani. “Capire con quali budget e con quali strategie andare online. L’e-commerce non si costruisce dicendo ‘apriamo e vediamo come va’. I dati sono lì e sono analizzabili per capire il mercato, i concorrenti, costruire un business plan. Oltre a trovare i partner giusti, si devono assumere figure specializzate perché è decisivo avere competenze interne. È un investimento”. “È importante – conclude Cupini – che ci sia una comprensione tecnica e degli aspetti logistici. Cambia totalmente la filiera: le aziende devono essere aiutate a riconvertirsi, perché l’e-commerce non è una replica digitale del negozio”.

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