Il 30 Gennaio 2020 il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava il focolaio internazionale di COVID-19 “un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”, ma sarà l’11 Marzo che la parola Pandemia entrerà nelle nostre vite cambiandole radicalmente. In questi mesi i social media, i giornali, le tv ci hanno raccontato la pandemia attraverso una sequenza di immagini che sin da subito hanno evocato nell’immaginario collettivo scenari di guerra: Ospedali riconvertiti in covid zone, medici e infermieri prostrati dalla stanchezza e dalla paura, persone in fila davanti agli istituti di Carità, strade deserte, saracinesche abbassate, ed i camion militari che da Bergamo trasportavano bare nel silenzio di una notte senza fine. Se le immagini ci hanno dato il racconto visivo della crisi sanitaria che ci ha travolti, è stata la lingua a fotografare il cambiamento che il coronavirus ha apportato alla nostra quotidianità, al nostro vivere la socialità, la familiarità. Il lessico della medicina è entrato nel nostro vocabolario di base asintomatico, focolaio, intubato,incubazione si muovono con disinvoltura nei nostri discorsi familiari. L’Istituto Treccani ha inserito 100 nuove parole più usate durante la fase di emergenza. E’ stata registrata una forte tendenza allo slittamento semantico. Il mutamento semantico avviene quando un nuovo significante è riferito a un significato e quando un nuovo significato è riferito a un significante. Secondo Ullmann questo legame si può manifestare come associazione tra i sensi/significati o come associazione tra i nomi/significanti. È il caso dell’aggettivo positivo che rimanda ormai alla positività rispetto all’infezione e non più, o non solo, al grado positivo della qualità. E ancora, il termine virale, dapprima usato per indicare la diffusione sui media, viene maggiormente utilizzato per indicare l’agente patogeno.
A condizionare maggiormente la nostra emotività, però, è stato l’uso da parte degli organi di informazione e di parte della politica della metafora bellica. Nella prima fase emergenziale, infatti, abbiamo assistito ad un racconto per immagini commentato con parole che hanno accostato la pandemia alla guerra, la corsia alla trincea al fronte alla prima linea. Di conseguenza, nell’opinione pubblica si sono delineati due stereotipi: gli eroi ( medici e paramedici) e il nemico, l’untore ( i cinesi, gli stranieri, lo sportivo, il povero).
In molti tra i linguisti si sono interrogati se la metafora bellica, per il forte impatto emotivo, fosse stata una scelta giudiziosa e responsabile. L’attuale peggioramento della curva epidemica, conseguente al rallentamento delle misure restrittive nel periodo estivo, e dunque alla ripresa di una narrazione più distesa, ci conduce ad una riflessione su un’ulteriore immagine che si è andata connotando negli ultimi mesi: la dittatura sanitaria. Ci troviamo di fronte ad una costruzione semantica che da un lato ci riporta alle prime misure di Lockdown , e all’immagine emotiva di noi costretti a un regime di totale isolamento domiciliare, e dall’altro alla decostruzione dell’immagine dell’eroe che nella prima fase dell’emergenza effettivamente ci ha condizionati e in qualche modo convinti ad “accettare” le misure poste in essere per contenere il contagio. Ora la figura dell’ eroe è associata all’imprenditore, al ristoratore, al lavoratore senza diritti, al popolo affamato, che scende in piazza per protestare contro la diseguaglianza. Gi attuali fuochi della divisione sociale, giocano sullo slittamento della figura del nemico, non più il giovane sportivo, lo straniero, il cinese, ma il potere, lo stato, l’adolescente. La lingua ci sta dicendo che è in corso un mutamento sociale importante e che la stessa parola responsabilità é in corso di ‘ridefinizione’. È interessante sottolineare come la responsabilità individuale, rispettata nei mesi iniziali attraverso l’uso della mascherina e il rigore nel rispetto del distanziamento, stigmatizzata nell ‘hastang #iorestoacasa , ora venga delegata alla norma, allo Stato, il quale viene chiamato a rispondere della responsabilità collettiva insita al comportamento del singolo individuo.  Il covid ha portato alla luce le fratture e la fragilità della società liquida attraverso una straordinaria ‘pandemia linguistica’, riflesso di una confusione nei messaggi veicolati dagli organi di informazione e dalla stessa politica. 

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