ARTISTA, POETA, PERFORMER, SAGGISTA E ATTIVISTA, JIMMIE DURHAM (1940-2021) È UNA FIGURA UNICA NELLA STORIA DELL’ARTE INTERNAZIONALE DELL’ULTIMO MEZZO SECOLO. IL SUO LAVORO AFFRONTA I FONDAMENTI DELLA CULTURA EUROPEA E NORDAMERICANA, DECOSTRUENDO IDEE E CATEGORIE CONSOLIDATE. QUESTA PRIMA MOSTRA RETROSPETTIVA IN ITALIA PRESENTA OLTRE 150 OPERE, ALCUNE DELLE QUALI MAI ESPOSTE. CREA COLLEGAMENTI TRA PERIODI TEMPORALI ALL’INTERNO DI SEQUENZE TEMATICHE, COMBINANDO ELEMENTI CRONOLOGICI CON UN APPROCCIO NARRATIVO, INCLUDENDO RIFERIMENTI A MOSTRE STORICHE CHE RACCHIUDONO GLI ESPERIMENTI DA LUI CONDOTTI SULLE STRATEGIE SPAZIALI.

Nel corso di una carriera di oltre cinquant’anni, Durham ha dedicato la sua pratica alla decodifica critica delle immagini e dei simboli naturalizzati che sono alla base dei sistemi culturali dominanti. Le sue opere, caratterizzate da una forte vena umoristica, spaziano tra sculture, video, poesie, performance, installazioni, dipinti, disegni, collage, stampe e saggi. Costruendo “combinazioni illegali con oggetti rifiutati”, attraverso materiali naturali e industriali, Durham ha generato rotture all’interno delle convenzioni del linguaggio e della conoscenza. La mostra è un omaggio a un artista il cui lavoro proteiforme e stratificato è fondamentale per la comprensione dell’arte contemporanea e dei suoi possibili futuri scenari. Il titolo, tratto da una stampa di Durham, sottolinea il suo progetto di relativizzare, come culturalmente specifiche, le nozioni universalizzanti e teleologiche dell’essere umano, caratteristiche della modernità europea.

La sequenza di apertura definisce la critica di Durham alle nozioni di autenticità, identità, verità e nazione – “Veracity” e “Voracity”, si legge su due delle sue prime insegne scultoree. Dal 1969, mentre frequentava la scuola d’arte a Ginevra, Durham ha fatto parte di una rete di pensatori e attivisti coinvolti nei movimenti di liberazione del Terzo Mondo e degli indigeni, e nel 1973 è tornato negli USA per partecipare alle lotte per i diritti civili. Ha collaborato con il Central Council of the American Indian Movement (AIM), contribuendo a fondare AIM: Women of All Red Nation (WARN), e poi dal 1975, come direttore fondatore dell’International Indian Treaty Council (IITC) presso le Nazioni Unite, ha lavorato all’integrazione nel diritto internazionale della “Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni”. Nel 1979 si dimette dall’AIM, esprimendo dubbi sulla sua autonomia politica, e si concentra nuovamente sulla produzione artistica, pur dichiarando la sua intenzione di mantenere un impegno nelle lotte in corso.

Nel 1983 Durham pubblica il suo primo compendio di poesie, Columbus Day: Poems, Drawings and Stories about American Indian Life and Death in the Nineteen-Seventies e ha partecipato a mostre importanti alla Kenkeleba House, uno spazio indipendente nel Lower East Side al centro di una scena artistica newyorkese alternativa degli anni Ottanta, offrendo opportunità e impegno critico ad artisti non bianchi raramente invitati a esporre nelle sedi tradizionali. Durham non si è mai sentito costretto a parlare solo in relazione a una specifica identità; fin dai suoi primi lavori, ha criticato la costruzione di nozioni fisse di identità e la loro strumentalizzazione nel discorso pubblico.

Nel 1994, dopo aver vissuto per un periodo a Cuernavaca, in Messico, Durham si è trasferito definitivamente in Europa o, come la chiamava lui, in “Eurasia”. Dopo aver lavorato inizialmente in Irlanda, Paesi Bassi, Belgio e Francia, si è stabilito a Berlino dopo aver completato una residenza presso il German Academic Exchange Service (DAAD) nel 1998. Le sue esplorazioni delle relazioni tra architettura, testo e dogma religioso sono andate di pari passo con le sue critiche ai media e ai generi consolidati dell’arte europea. La mostra culmina in un’esplorazione dei processi investigativi di Durham e della sua attenzione ai materiali, compreso il suo amore profondamente giocoso per il linguaggio. Le parole occupano un posto predominante in tutto il suo lavoro, sia nella poesia e nella performance, sia integrate visibilmente in titoli e interventi testuali. Ha creato una nuova semantica dell’estetica, giocando con il détournement di significati, suoni e iscrizioni. La passione per la scienza, e in particolare per la fisica teorica, si esprime in molte opere, come nella sua ultima antologia di poesie, Particle Word Theory (2020).

La pratica di Durham si snoda lungo linee di ricerca epistemologica, mostrando come l’arte possa creare nuove metodologie, combinando linguaggio e materia per stabilire un dialogo sperimentale. L’arte non era diversa dalla scienza nell’approccio dell’artista all’indagine sulla composizione della materia e sui limiti della conoscenza. Attraverso la sua profonda sensibilità per i materiali e il linguaggio, l’incessante messa in discussione dei principi primi e le strategie sviluppate di assemblaggio poetico e di articolazione spaziale, Durham ha offerto percorsi per uscire dall’impasse contemporanea delle nozioni e delle categorie di pratica artistica riconosciute.

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