Mario Cataluddi

 

Durante il loro viaggio Emanuele ed il suo piccolo amico si imbattono nel signor Pierpalini, un uomo che sembra aver pagato caro il prezzo della sua ribellione contro qualcuno di molto potente. Di seguito, un estratto dalla discussione tra i due uomini:

Pierpalini mette la mano nella tasca del retro dei suoi pantaloni marrone scuro, a cercar il suo portafogli e tirar fuori una banconota. «Lo vede questo biglietto? – Sì, sono cento euro – replica il Maltese. – È proprio quello che c’è scritto. – Sì, è quello che vale. – È quello che lei dice… – Che vuol dire? È un falso? – No, assolutamente. Voglio semplicemente dire che questa banconota non ha alcun valore intrinseco, eccetto quello conferitogli da una convenzione collettiva, bene o male definita. Accantoniamo per un attimo tutte le teorie economiche a riguardo, quelle del valore, della forza lavoro o quant’altro. Limitiamoci ad osservarlo.

In realtà non è nient’altro che un pezzo di carta stampata, nemmeno buono per pulirsi dopo esser stato alla toilette, a causa della sua scarsa grana – fa segno l’uomo sfregando il biglietto tra le dita – In compenso gli viene conferito un grande potere, quello di acquistare merci. E cosa sono le merci se non il mezzo di soddisfacimento di bisogni e piaceri? Maggiori ricchezze vale a dire maggiori possibilità di ottenere del piacere e dei mezzi per soddisfare i propri desideri. Tutto questo i fedeli lo hanno ben assimilato. L’Insaziabile, come lei può facilmente dedurre, non ne ha mai abbastanza, ne chiede sempre di più. Fondamentalmente è un uomo che si annoia e che si è perso nella sua ricerca della felicità. – Ed ha pensato bene di trovarla nella successione di piaceri… – Può darsi. Comunque è la filosofia che predica ai suoi compari. Il problema è che il limitato tempo che ha su Terra, lo trascorre in una incessante conquista di sensazioni effimere; ma a lungo andare, l’assuefazione lo porta a non risentirne più alcuna. Ne è divenuto dipendente. E tutto non è poi altro che un susseguirsi di abitudini. Può possedere tutto ciò che vuole senza per forza essere felice. Diventa quindi ingordo, egoista, frustrato, geloso e aggressivo verso i suoi fratelli. Finisce per amare i suoi possedimenti e utilizzare i suoi simili, piuttosto che l’inverso.

Alla fine si sente sempre più solo nel mezzo di una folla sempre più crescente di falsi amici che partecipano al suo festino nell’intento di potersi cibare delle bricioline che cadono dalla sua tavola. In questo risiede tutto il suo paradosso: più riempie la sua vita e più il suo vuoto interiore si amplia. Più il suo vuoto interiore si amplia e più lo va a riempire con delle ricchezze. Sì facendo si rinchiude in un cerchio vizioso. – Ha scelto dunque di esistere per mezzo “dell’avere” piuttosto “dell’essere”? – Esattamente. A cosa serve ammassare tesori su terra dove la ruggine distrugge ed i ladri derubano? Più si accumula e più si ha paura di perdere ciò che si ha. Ne si diventa allora schiavi, dipendenti, ed il nostro spirito si oscura in quanto imprigionato in una realtà puramente materiale e limitata. Se lei opta per la scelta di servire quell’uomo è ciò che finirà anche lei per trovare. Non sarebbe meglio condividere le risorse ed i piaceri? – Vedo, su questo sono d’accordo. Ma se si parla di denaro bisogna pur dire che esso è essenziale nella nostra società per sovvenire ai propri bisogni. Non lo si può limitare ad un solo discorso di piacere, non trova? Senza di esso non si può ne vendere ne comprare. – Naturalmente, in quanto da noi ciò è stato deciso e accettato. Come le ho detto, una volta soddisfatti i bisogni essenziali, il resto è però solo surplus, accumulo di piaceri. Io dubito fortemente che questa banconota possa avere un qualsiasi valore in una delle tante tribù isolate in Africa, in India o in Amazzonia.

I loro bisogni sono soddisfatti gratuitamente dalla natura. Nessuno crea loro false necessità. In ogni caso, non è il denaro di per s il problema, non è questo il mio proposito, anche perché ci sarebbero molti elementi tecnici da abbordare per definirlo. Lei converrà però con me che si tratta di un mezzo utile allo scambio di merci. Ciò che metto in causa è soprattutto il potere che gli viene conferito, le ragioni che spingono a procurarsene ed ancor più gli stratagemmi utilizzati per farlo. Il denaro non è più il mezzo, ma il fine. È il fine perché è il mezzo. È questo il concetto perverso che intrappola, capisce?

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