«Tutto bene, signor Manu?» domanda il bambino dopo aver visto il suo compagno fissare il vuoto per qualche minuto.

«Sì, sì. Giusto un vecchio ricordo.

– Un bel ricordo?

– Non saprei dirti se è bello o brutto. Pensavo a quando entrai nella Marina.

– Avete fatto il militare?

– Eh, ma non si era detto che mi avresti dato del tu?

– Sì, hai ragione. È la forza dell’abitudine. Mamma mi ha sempre detto di dare del voi ai grandi in segno di rispetto.

– Ed è giustissimo. Bisogna portar rispetto per gli adulti, come anche per i più piccoli, del resto. Siamo tutti degli esseri viventi che soffrono, ognuno al suo livello, e questa sofferenza è sacra e merita la riconoscenza degli altri.

– Gli adulti hanno vissuto più tempo su Terra, quindi hanno sofferto un po’ di più? E’ per questo che bisogna ancor più rispettarli? – chiede innocentemente il ragazzino.

– Penso di sì. Non preoccuparti di darmi del tu, sono io che te lo chiedo. Puoi benissimo rispettarmi senza dover per forza applicare i codici di condotta della nostra società. Il rispetto si trova in cose ben più profonde.

– Ma, Manu, non riesco bene a capire cosa voglia davvero dire “rispettare”. Mi dicono spesso che devo rispettare questo, rispettare quello, ma nessuno mi ha mai detto cosa significhi!».

Il capitano incupisce lo sguardo, nel mentre si lancia alla ricerca delle parole più appropriate ad aiutare il bambino a comprendere di cosa si tratti. Si gratta la barba, sbadiglia. Dalla tasca del pantalone tira fuori un toscanello. Lo porta alla bocca e lo accende. Si dona un’aria seriosa, si direbbe un cowboy. « Guarda, sinceramente… coff, coff – gli risponde tossendo – non saprei dartene una definizione, ma di sicuro posso dirti, in base alle mie esperienze, in quali occasioni io possa provare il sentimento di non essere rispettato, coff, coff.

-Ok, dimmi.

-Ad esempio, quando non mi sento ascoltato. Quando parlo e quando non si dà importanza a ciò che dico, quando si fa finta di ascoltarmi ma in realtà io sia solo udito, coff ».

Con il pollice e il medio proietta il toscanello lontano da lui «Vabbè, ho capito, fumà non è proprio cosa per me.

-Ma perchè, Manu, ascoltare e udire, non hanno lo stesso significato?

-Certo che no! Quando si ascolta qualcuno si avanza con lui nei suoi discorsi, si cerca di comprenderli, si conoscono le sue idee, non per forza dovendole accettare. Se è il caso, si entra in empatia con lui, e ci si ricorda di ciò che ci è stato detto. Udire, invece, significa captare un suono di sottofondo. Si è presenti con l’altro soltanto fisicamente, ma non con il proprio spirito. Ma di altri esempi di non rispetto posso dartene a migliaia. Sicuramente quando ci si prende gioco di me, quando mi si tratta come un appestato da tenere alla larga. O quando i miei diritti non vengono rispettati, quando mi si dicono bugie, quando vengo aggredito, quando mi giudicano per il mio aspetto, quando non mi si lascia la possibilità di esprimermi, quando mi si vuol imporre delle idee, dei valori, dei punti di vista. Oppure quando mi si impedisce di vivere degnamente, o mi si lascia solo a naufragare nelle profondità della decadenza umana. La gente non mi conosce nemmeno ma mi giudica basandosi su pregiudizi, dimenticandosi che anch’io sono un essere umano.

-Non ti senti riconosciuto in qualità di essere umano, Manu?

-Sì, ecco! Non mi sento riconosciuto in qualità di essere umano e membro di questa società.

– Ma allora “rispettare” non vorrebbe piuttosto dire “riconoscere” ? » Chiede ancor più incuriosito il bambino ad Emanuele.

« Può darsi – risponde l’uomo. Ma se partiamo da questo postulato, allora dobbiamo spingere il concetto ancora oltre.

– Cioè?

– La parola “riconoscenza” è formata a sua volta da due particelle, RI, come ripetizione, e CONOSCENZA. Quindi la riconoscenza sarebbe una conoscenza che si ripete, qualcosa della quale siamo consapevoli e che può fare la sua riapparizione.

– Ah, ho capito! E’ come quando l’altro giorno ho rivisto un vecchio amico di asilo davanti casa mia e l’ho salutato. L’ho riconosciuto perchè lo avevo conosciuto in passato.

– All’incirca è così. Non puoi riconoscere qualcosa o qualcuno se non l’hai prima conosciuto. E’ logico, no?

– Certo. Però Manu, c’è una cosa che non quadra.

– Cosa?

– Se ti devo rispettare, e quindi riconoscerti, secondo il tuo ragionamento sono obbligato a fare la tua conoscenza. Non c’è problema, per ora stiamo passando del tempo insieme e lo sto facendo poco alla volta. Ma i passanti per strada, gli sconosciuti, non dovrei rispettarli ugualmente?

– Ovviamente. Qui non si parla di sapere informazioni sulla loro vita, la loro storia, dove vivano, quale sia il loro lavoro o quant’altro. Si tratta piuttosto di conoscere la loro natura, quella che condividiamo, l’essenza stessa dell’essere umano, il suo funzionamento, le sue capacità e i suoi limiti, per poterle in seguito riconoscere presso i propri simili.

– Non riesco davvero a capire il concetto, Manu.

– Vedi, poco importa se sei alto, piccolo di statura, da quale paese vieni, qual è il tuo sesso, la tua età, il tuo credo e la tua ideologia politica. Prima di tutto ciò sei un essere umano, ed in questo, non vi è alcuna differenza naturale con gli altri. Quindi, se partiamo da questa base, abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri.

– E potremmo applicare il nostro principio anche agli animali?

– Mmm… Certo, direi addirittura a tutto ciò che ci circonda!

– E come si apprende tutto ciò? Danno delle lezioni a scuola?

– Ahah – ride il Maltese – no, giovanotto. Magari fosse il caso! In ogni modo penso che debba essere un lavoro che ciascun individuo debba fare da se stesso e su se stesso; diventare il proprio allievo ed il proprio maestro. Maria ce l’ha detto poco fa.  Nella vita sono le esperienze e gli errori che aiutano a crescere. Il concetto è che conoscendo se stessi, ci si dà quindi i mezzi per conoscere i propri simili.

– Mi potresti fare un esempio?

– Un esempio? Vediamo… uno semplice semplice. Ah, si, ce l’ho! Se un bulletto ti da un pugno, avrai sicuramente male. Se è la prima volta che ti succede, sai ora che questa cosa infligge dolore, e che sia il corpo che la mente ne risentono. Mi segui?

– Si

– Avendo conosciuto la cosa, la prossima volta che una situazione del genere ti si dovesse ripresentare, ti ricorderai del dolore della prima esperienza, giusto?

– Beh, si.

– Ok, quindi riconoscerai il pericolo, e cercherai di evitare di farti infliggere nuovamente lo stesso dolore. Non permetterai più al bulletto di turno di farti del male. Cosi’ facendo, porterai rispetto verso te stesso. Inoltre, facendo appello alla tua empatia naturale, ti imporrai di non fare altrettanto al tuo prossimo, perchè sai che anch’egli risentirebbe quello stesso dolore, in quanto fatto di corpo e mente come te. Quindi, lo rispetterai. Tutto si riassume nella famosa frase : “Non fare agli altri cio’ che non vuoi che gli altri facciano a te stesso”.

– E la gente che ci fa soffrire merita ancora il nostro rispetto?

– Attenzione, noi stiamo parlando di un concetto globale, applicabile come base delle relazioni, non delle singole situazioni, nelle quali esso possa venire a mancare. Non stiamo dicendo che dobbiamo applicarlo a prescindere e che bisogna accettare tutto in nome del rispetto! Ogni caso merita la sua attenzione specifica, nonchè le tue capacità di analisi e decisione. Fatto è che, se ognuno applicasse questo principio a tutti i contesti della sua vita, ci sarebbe molta più pace, equità e giustizia nel mondo.

– Al catechismo ho sentito che bisogna porgere l’altra guancia.

– Il concetto del “porgi l’altra guancia” credo sia mal interpretato. Non penso che Gesu’ volesse intendere “se qualcuno ti schiaffeggia, lasciati pure schiaffeggiare a ripetizione” . Il vero significato della frase è, a mio umile avviso, che non bisogna reagire alla violenza con la violenza. Ma ci sono moltre altre maniere per togliere il rispetto all’altro. Perchè reagendo in maniera agressiva si manca di rispetto in primis a se stessi. Ci si corrompe, ci si sporca. Tutto qua. Ma questo, è un altro discorso.

– E tu pensi di rispettarti, Manu? »

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