Presupposto per l’affermarsi della cultura della bilateralità è in particolare il “superamento della dimensione conflittuale e negoziale, considerata come esclusiva e non solo prevalente per l’organizzazione sindacale, mediante l’affermazione della cultura della partecipazione e della gestione”. Al riguardo si è assimilata la funzione regolativa del sindacato alla funzione legislativa del Parlamento e l’attività di gestione degli enti bilaterali all’attività di governo. Se infatti “per il sindacato è più facile concorrere, con le controparti, alla produzione di regole, mediante la contrattazione collettiva,… la gestione di un ente presuppone la capacità di soluzione dei problemi mediante una vera arte di governo”. Per la funzionalità di tale indirizzo partecipativo e per la sua efficacia operativa è d’altro lato indispensabile una comune volontà di agire ed un affidamento reciproco tra le parti.

Caratteristica fondamentale degli enti bilaterali è il fatto di essere istituiti e disciplinati dalla contrattazione collettiva. Il contratto collettivo rappresenta dunque “la fonte primaria” di loro regolazione. Si deve sottolineare pertanto l’origine contrattuale degli enti bilaterali, in quanto costituiti sulla base di un obbligo contrattuale, frutto dell’autonomia privata, che non consiste tanto nell’iscrizione all’ente bilaterale bensì nella sottoscrizione (o comunque nell’applicazione) del contratto collettivo che lo istituisce. D’altra parte la bilateralità rappresenta un importante strumento di partecipazione sociale, concorrendo a realizzare, assieme alla contrattazione collettiva, quella società democratica, fondata sull’apporto delle formazioni espressione della società civile, riconosciuta dalla Carta costituzionale. Bilateralità e Partecipazione rappresentano peraltro la soluzione più autorevole e credibile per superare ogni residua cultura antagonista nei rapporti di lavoro, tale da realizzare un rinnovato clima di fiducia e collaborazione, tra datore di lavoro e lavoratore sui temi della crescita, dello sviluppo e della giustizia sociale in un contesto destinato a sopportare frequenti cause di instabilità.

Un ulteriore impulso alla partecipazione delle parti sociali viene dalla riforma del titolo V della Costituzione, che accanto al principio di “sussidiarietà verticale” (Stato/Regioni/Enti locali) riconosce il principio di “sussidiarietà orizzontale” (art. 118, comma 4, Cost.). Il soddisfacimento di interessi generali è possibile, dunque, grazie anche all’intervento di soggetti privati (singoli e associazioni) nell’organizzazione e gestione di determinate attività. In tale contesto gli Enti Bilaterali possono utilmente operare per assicurare taluni servizi e prestazioni di carattere sociale che, in un tessuto di piccola e media impresa come quello italiano, risultano più efficaci se forniti a livello territoriale. Non viene con ciò a modificarsi la natura del sindacato in senso “parastatale”, rimanendo le funzioni di indirizzo e di controllo, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, di competenza pubblica. Quella della bilateralità è in ogni caso solo una delle possibili linee di intervento; il ricorso al conflitto, seppur come extrema ratio, non viene infatti meno anche nella logica partecipativa. Obiettivo è quello di mettere in campo tutte le risorse disponibili e le espressioni di rappresentanza degli interessi per favorire una “via alta”, anche sul piano dei diritti economici e sociali, della competizione territoriale, che rappresenta il vero ambito dello sviluppo. Le trasformazioni dell’economia di mercato (terziarizzazione, globalizzazione, delocalizzazione) e le conseguenze sui sistemi di welfare e sul ruolo del pubblico fanno emergere la necessità di ricorrere a nuovi strumenti di protezione sociale.

 

Bilateralità e mutualità nella crisi del Welfare State – Le trasformazioni dell’economia di mercato (terziarizzazione, globalizzazione, delocalizzazione) e le conseguenze sui sistemi di welfare e sul ruolo del pubblico fanno emergere la necessità di ricorrere a nuovi strumenti di protezione sociale. I cambiamenti della domanda di salute e di benessere sociale connessi alle mutate condizioni della popolazione attuale e futura (anziani, disabili, precari, ecc..) mettono peraltro in rilievo il crescente divario tra costi dei sistemi di protezione sociale e risorse (sempre più scarse) disponibili. Anche se le scelte in materia non possono essere ricondotte alla sola valenza economica si pone dunque il problema della qualificazione delle politiche sociali, mediante il coinvolgimento, nell’erogazione dei servizi, del volontariato, del privato sociale e, a determinate condizioni, del privato for profit (dal welfare State al welfare community). In tale quadro si tratta di conciliare al meglio sussidiarietà e solidarietà, unità e differenziazione: da una parte prevedendo prestazioni di base, a livello nazionale, sotto forma di servizi, agevolazioni e trasferimenti monetari; dall’altra lasciando ai governi locali la scelta politica di riconoscere quote aggiuntive di prestazioni, rendendo altresì sempre più visibile il rapporto costi-benefici della spesa sociale locale. Più in generale è da osservare che la giusta valorizzazione delle specificità territoriali deve tener conto della tendenziale vocazione universalistica dei diritti civili e sociali (fondamentali), in quanto diritti delle persone prima che di appartenenti a determinate comunità locali. Di tutto ciò occorre tener conto in particolare ai fini della determinazione dei “livelli essenziali” delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. L’iniziativa delle organizzazioni imprenditoriali nell’area del c.d. welfare aziendale vede innovative esperienze, a fronte della crescente domanda di servizi sociali, specie nel campo della previdenza complementare e della tutela sanitaria integrativa.

Un’ampia serie di prestazioni è peraltro offerta proprio dal sistema della bilateralità, attraverso Fondi appositamente istituiti in modo da tutelare il potere di acquisto dei dipendenti (riducendo il divario tra costo aziendale ed importo netto percepito) attraverso un innovativo sistema di incentivazione, collegato ad indicatori di qualità della produzione, basato su benefici non monetari per i lavoratori e le loro famiglie: convenzioni con centri di medicina preventiva e diagnostica; cure odontoiatriche, pediatriche e specialistiche; aiuti per l’uso dei mezzi di trasporto; interventi per l’istruzione scolastica, borse di studio e orientamento professionale; assistenza sociale di sostegno per famiglie con problemi di portatori di handicap, di tossicodipendenze, di anziani da assistere. Si tratta più in generale di dar vita a nuovi schemi assicurativi, promovendo quelle che vengono definite “Politiche Sociali Attive”: attenzione ai problemi dell’infanzia ed alla possibilità di conciliare responsabilità familiari e professionali; lotta all’esclusione sociale; sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici e maggiori opportunità di partecipazione sociale per gli anziani. Non di rado si pone il problema di come estendere le forme di mutualità previste dalla contrattazione collettiva a quelle categorie di persone particolarmente bisognose (anziani, precari ecc..), non comprese nel proprio ambito di rappresentanza e che rischiano di essere ancor più emarginate.

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