di Mario Cataluddi

 

Ieri, 18 maggio 2021, un altro pilastro della cultura italiana è venuto a mancare: il maestro Franco Battiato. Molti lo conoscono grazie alle sue canzoni più popolari quali “Centro di gravità permanente”, “Bandiera bianca” o ancora “Cuccurucucù”, senza dimenticare certamente la famosissima e sublime “La Cura”, vero e proprio inno all’amore. Numerosi sono coloro che hanno canticchiato i suoi pezzi talvolta non riuscendo a penetrare nel vero senso di quelle rime cosi magistralmente astruse. Franco non era un semplice cantante, nell’accezione odierna del termine, ma un vero e proprio artista trascendentale. La sua arte è sempre stata accessibile a tutti ma comprensibile a pochi; ovvero a tutti coloro che abbiano avuto il coraggio di scendere negli abissi della natura umana e di perscrutare i misteri dell’Universo.

Cos’era quel centro di gravità permanente del quale aveva bisogno al fine di non cambiare idea sulle cose e sulla gente? Qual’era dunque quell’idea che aveva paura di deludere se non lo avesse trovato? «La via spirituale è una via molto impegnativa, necessita esperienza», disse il maestro in un’intervista a “Repubblica” nel 2012. Le sue opere, purtroppo bisogna ammetterlo, sono per lo più sconosciute al pubblico dei più giovani, ahimè, piuttosto inclini verso altre forme di musica che ptremmo definire “pret-à-porter”; brani che non richiedono sforzi di comprensione, che non veicolano messaggi profondi, ma che offrono quel piacere effimero di un ritornello che martella in continuazione il cervello in poco più di tre minuti, costringendolo indirettamente ad assorbirlo e riproporlo successivamente in altre situazioni (i famosi tormentoni). Il tutto allo scopo di soddisfare la sete consumistica delle masse e quella di guadagno del sistema. I brani del maestro Battiato invece, le sue melodie, le sue rime non erano semplici componimenti canori, ma vere e proprie odi, opere di denuncia sociale, vere e proprie esortazioni al viaggio esistenziale all’interno di sè.

Potremmo spingerci forse nel reputare il maestro Battiato, come un messaggero malgrado lui, un portatore di luce, in missione per il risveglio delle coscienze. Dai suoi brani è possibile carpire il rapporto spirituale ch’egli tesseva con il Creato ed il viaggio metafisico che l’autore ci invitava ad intraprendere per poterci elevare ad una forma più nobile e pura. Nel suo capolavoro del 1991 in stile mantra tibetano, “L’ombra della luce”, Battiato riconosce che i piacevoli sentimenti di questa vita siano solo effimere sensazioni rispetto alla potenza dell’amore eterno che tutto crea: «Perché le gioie del più profondo affetto o dei più lievi aneliti del cuore sono solo l’ombra della luce. Ricordami come sono infelice lontano dalle tue leggi, come non sprecare il tempo che mi rimane». Egli rivolge quindi una preghiera a Colui che ha dato forma e vita ad ogni cosa chiedendogli di aiutarlo e proteggerlo in questa realtà terrena: «Difendimi dalle forze contrarie. La notte, nel sonno, quando non sono cosciente, quando il mio percorso si fa incerto, e non abbandonarmi mai, non mi abbandonare mai». Una preghiera, che trova probabilmente risposta nel brano più celebre del maestro, “La Cura”: «Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto. Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare.

Ti salverò da ogni malinconia. Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te». Si potrebbe ipotizzare che l’autore si rivolgesse a sé stesso, al suo bambino interiore, per conto del Creatore, al fine di rassicurarlo, per dirgli che sarebbe sempre rimasto al suo fianco nell’epopea della vita su Terra, e che in quanto essere speciale ma fragile, lo avrebbe scortato durante le inevitabili prove del suo viaggio. Concludendo, potremmo quindi asserire che il decesso del maestro non denota solo una perdita che affligge il campo della musica, bensì l’umanità intera che vede spegnersi l’ennesima candela portatrice di luce e calore dell’oltre cosmo.

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