Rivendicano oltre alla sapienza produttiva, anche la sensibilità etica e ambientale della Pmi, poiché essa mette l’uomo, e non il mero profitto, al centro dello sviluppo: uno sviluppo che deve essere sostenibile, rispettoso delle regole e non predatorio.

 

Il mondo della rappresentanza imprenditoriale in Italia è da tempo attraversato da correnti di trasformazione sia di natura esogena (le  dinamiche economiche, politiche, culturali che percorrono il resto della società), sia di natura endogena (i processi evolutivi che modificano  l’interno stesso delle organizzazioni a seguito dell’affacciarsi di nuove istanze e dell’attualizzazione di quelle vecchie). L’insieme di questi cambiamenti sta producendo nel panorama della rappresentanza segnali di un’incipiente crisi di identità, presumibilmente destinati ad accentuarsi nel prossimo futuro e ad innescare una profonda riflessione, almeno da parte delle componenti più sensibili. Se questo accade nell’universo della rappresentanza, nel mondo  dell’impresa continuiamo a constatare come ancora oggi permangano sostanzialmente immutate alcune ataviche questioni che oggettivamente frenano l’attività della Pmi. A questo si aggiunga la diffusione crescente, sia tra gli operatori che negli organismi di rappresentanza, della sensazione di non riuscire a fare sentire la propria voce e di non incidere adeguatamente nella determinazione delle politiche di sviluppo di questo Paese. L’Italia, com’è noto, è storicamente il Paese che sulla fitta trama di piccole e medie imprese diffuse sul territorio ha costruito la sua connotazione strutturale. Anzi, possiamo spingerci a dire che le nostre piccole e medie unità industriali, artigiane, commerciali, agricole sono sempre state qualcosa di più che dei meri aggregati economici, rappresentando esse, ad un tempo, un portato del territorio, un canale di promozione individuale, una manifestazione di democrazia e un fattore di coesione sociale. Esse hanno in sostanza rappresentato la modalità  assunta dal fenomeno capitalistico nel nostro Paese. A fronte di quest’assoluta centralità sul terreno dei processi strutturali, la Pmi non è però riuscita a conquistare una pari centralità sul terreno della coscienza collettiva e su quello dell’elaborazione delle politiche di sviluppo. Lo stesso sistema politico, che pure non perde occasione per esaltare verbalmente i meriti e il ruolo della Pmi, sembra nei fatti subire la seduzione e le pressioni della grande impresa, sulla quale sostanzialmente tendono a conformarsi le politiche economiche. Mentre, al contrario, intorno alla Pmi la “Politica” non sembra essere ancora riuscita a creare un habitat pienamente amichevole, anzi spesso da’ l’impressione che quasi si diverta a creargliene uno ostile.

Ciò che oggi serve nel Paese è l’adozione di nuove coordinate culturali che favoriscano un “ricentraggio” delle politiche di sviluppo sulla Pmi. L’Italia è un Paese che non può mettere “tra parentesi” la Pmi, poiché essa è un tuttuno con la nostra identità economica nazionale. Quello italiano è tipicamente un “capitalismo di territorio”, ovvero un modello saldamente incardinato sulla piccola e media dimensione e sul legame che quest’ultima è riuscita ad intessere con il contesto economico, geografico e culturale. Un capitalismo dove, piaccia o no, è l’individuo-imprenditore (o tuttalpiù la sua famiglia) ad essere il perno centrale; dove vige ancora la cultura del fare, del produrre, del rischio, del mercato; dove, insomma, ancora agiscono gli animal spirits del “produrre”. Oggi questo patrimonio materiale e culturale è esposto ad un serio rischio di impoverimento, con la possibile conseguenza di allentare nel popolo dei piccoli e medi imprenditori quell’instancabile tensione verso il progredire che li ha da sempre accompagnati. E senza il singolo imprenditore con la sua abilità nel produrre lavoro e ricchezza; senza la sua tensione “visionaria” e la sua arte di integrare creativamente i diversi fattori produttivi; senza, infine, la sua capacità di proiettare nel futuro la propria azienda, il sistema produttivo italiano rischia di smarrire la propria natura  e con essa la spinta propulsiva.

Le associazioni di rappresentanza dovranno affermare con forza che la Pmi non costituisce un’anomalia per questo Paese, né un retaggio del passato dal quale doversi liberarsi per fare ingresso nella cosiddetta modernità, ma è il modo che la collettività ha ritenuto più proficuo per produrre e per organizzare il proprio modello produttivo. Purtroppo, invece, avvertiamo la sensazione che in settori non piccoli del Paese alberghi ancora la convinzione che la Piccola Impresa sia in fondo il luogo dell’arretratezza produttiva, dell’evasione fiscale, dello sfruttamento del lavoro, e che dunque compito della politica sia sostanzialmente quello di porre un argine al suo campo d’azione in nome dell’interesse collettivo. Settori della politica e dell’opinione pubblica ancora non pare si siano del tutto liberati – anche se non sempre si ha il coraggio di ammetterlo apertamente – dalla convinzione che l’iniziativa privata sia comunque di rango inferiore rispetto a quella pubblica, una sorta di male necessario che il più delle volte confligge con il bene collettivo. Noi, viceversa, siamo fermamente convinti del contrario. Anzi riteniamo che la Pmi sia il vero valore di questo paese, che la politica è chiamata non a limitare ma anzi a difendere e soprattutto a promuovere e a valorizzare, proprio in nome dello sviluppo economico e del benessere sociale. Noi rivendichiamo infatti, oltre alla sapienza produttiva, anche la sensibilità etica e ambientale della Pmi, poiché essa mette l’uomo, e non il mero profitto, al centro dello sviluppo: uno sviluppo che deve essere sostenibile, rispettoso delle regole e non predatorio. L’ampiezza raggiunta dalla forbice tra la realtà strutturale della Pmi, da un lato, e la sua reale rappresentazione, dall’altro, ci convince che è giunto il momento di procedere ad una sorta di rivoluzione culturale, che deve coinvolgere l’intera comunità nazionale in tutte le sue componenti, da quelle economiche a quelle sociali a quelle politiche. Una rivoluzione culturale che approdi alla costruzione di un nuovo soggetto di rappresentanza, capace di trascendere (senza tuttavia escluderla) la connotazione meramente sindacale, per svolgere invece, anche sul piano culturale, un ruolo di stimolo e di sensibilizzazione nei confronti del Paese circa l’opportunità di assegnare alla Pmi, nei fatti, la funzione di “soggetto  generale” dello sviluppo.

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