La peculiarità del momento storico che stiamo attraversando ci pone il dovere di affrontare una serie di riflessioni sul mondo che abbiamo finora conosciuto, sulla società in divenire, sulle sfide che abbiamo dinanzi come singoli, come cittadini, come sistema. Si tratta principalmente, ed essenzialmente, di sfide che riguardano i diritti che pensavamo raggiunti e i doveri a cui siamo chiamati a rispondere.  Doveri economici, sociali, politici. Il 2015 nel commento al saggio di Zygmunt Bauman “Società liquida”, Umberto Eco definiva la società contemporanea come una comunità di antagonisti, bulimica, incapace di riconoscersi all’interno di valori condivisi. Una società senza punti di riferimento, sosteneva Eco, è una società individualista senza certezza del diritto. Ed è tale liquefazione ad aver determinato, secondo lo studioso, la crisi dei partiti, delle ideologie, dello Stato comunità di valori, appunto. A distanza di qualche anno, la pandemia da covid-sars19, ha aperto il Vaso di Pandora delle disuguaglianze globali e sono caduti i granitici muri dei modelli economici, dei sistemi produttivi, dei sistemi sanitari, dei sistemi di distribuzione della ricchezza e della conoscenza.  In questi mesi interminabili, abbiamo sentito più volte i leader politici esortare alla solidarietà tra le persone con espressioni come «Proteggere», «resistere», «collaborare», ma il superamento di una crisi effetto boomerang sui diritti fondamentali non può essere superata senza il compimento di un dovere, prima di tutto morale: chi ha di più deve dare di più. Dall’analisi condotta da  Oxfam e Development Finance International sulle  politiche di 158 paesi relativamente ai servizi pubblici, al fisco e ai diritti dei lavoratori, ovvero le tre aree di intervento strategiche per ridurre la disuguaglianza e superare l’emergenza coronavirus, è emerso   come prima dell’ondata pandemica solo 26 dei 158 paesi analizzati destinavano un livello di risorse adeguate alla sanità pubblica, stimabili nel 15% della spesa pubblica totale. Inoltre, agli inizi della diffusione globale della pandemia in 103 paesi almeno un lavoratore su tre non godeva di diritti e tutele essenziali come l’indennità di malattia, la situazione diventa maggiormente drammatica nei dati concernenti le donne.  Nel rapporto Oxfam, l’Italia rientra tra i Paesi che, negli anni, ha investito meno  in istruzione e nella progressività dell’imposizione fiscale. Emerge un quadro piuttosto chiaro sulla qualità dei diritti che pensavamo aver raggiunto. Le politiche economiche dei maggiori Paesi al mondo, in realtà hanno creato un modello di società in cui l’Uguaglianza è solo un fatto formale ma non sostanziale. Senza spostarci oltre confine, restando nel nostro Bel Paese, è evidente il divario tra Nord e Sud in tema di accesso alla sanità pubblica, accentuato dai Patti di Stabilità che hanno richiesto alle Regioni del Sud di sanare il debito con un aumento delle addizionali, con le conseguenze nefaste a cui stiamo assistendo nelle ultime settimane. I fondi eccezionali non bastano a risolvere un impoverimento strutturale e antico della sanità del mezzogiorno, nonostante le grandi eccellenze professionali. Sul fronte istruzione la didattica a distanza, siglata DAD, ha portato alla luce un ulteriore divario tra nord e sud, tra centro e periferia, tra ceto medio alto e povertà assoluta. L’assenza di una banda larga su tutto il territorio, di politiche inclusive nei comuni, di incapacità della scuola di intervenire nelle aree a rischio, pone una riflessione necessaria sulla povertà educativa di un pezzo del Paese e sulle conseguenze nel tempo sia in campo economico sia nel campo sociale.  In tema di diritti umani, rientra la condizione delle donne, penalizzate dallo smart working, dalla possibilità di accedere alle cure sanitarie, tra cui la difficoltà di interrompere la gravidanza, e gravemente esposte alla violenza domestica. In un contesto in cui i divari si polarizzano la condizione degli stranieri è un emblema del fallimento dello Stato di diritto. All’interno di questa categoria, anche se io non amo categorizzare le persone, si sono create ulteriori fonti discriminatorie tra cittadini stranieri residenti, cittadini stranieri con cittadinanza, cittadini stranieri con permesso temporaneo, cittadini senza permesso.  Tutti questi gap non sono il frutto della crisi pandemica ma di politiche economiche, produttive, sociali, che hanno privilegiato a livello nazionale  e sovranazionale la ricchezza a discapito del benessere, lo sfruttamento selvaggio a discapito della valorizzazione del capitale umano e delle risorse. Siamo difronte ad un cambiamento radicale, una sfida che, riprendendo il discorso inziale, deve portare a un nuovo schema di società solidale, non solo come sistema territoriale e individuale, ma come modello globale. Emblematica in tal senso la decisione del governo Sanchez di tassare i più ricchi –  “Questo è un bilancio progressivo; è eccezionale per la situazione e per l’ammontare degli investimenti pubblici […] Il primo obiettivo è quello di ricostruire ciò che la crisi ci ha tolto a causa della pandemia. Il secondo è modernizzare il nostro modello produttivo. E il terzo è quello di puntellare il nostro stato sociale”.  Attraverso la  morte di milioni di persone di ogni condizione sociale, provenienza, smascherando i deficit di ogni ricetta economica  il Covid ha dato  ai  grandi leader globali un grande insegnamento di Democrazia. Dinanzi a questa sfida dunque il tema dei diritti non può essere affrontato senza risolvere la questione dei doveri, senza un radicale riposizionamento della responsabilità del singolo, inteso anche come Stato, all’interno di un programma contributivo solidale, base già costituzionalmente riconosciuta come fonte primaria dell’Uguaglianza tra i cittadini.

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