L’UNESCO ha iscritto la Dieta Mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità su proposta di Italia, Spagna, Grecia e Marocco, definendola “un insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola”.

Il 4 dicembre 2013 l’UNESCO ha allargato il riconoscimento della Dieta Mediterranea a Portogallo, Croazia e Cipro, ribadendo i caratteri fondanti dell’elemento nella sua dimensione culturale. L’Italia, con l’iscrizione della Dieta Mediterranea nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale ha assunto degli obblighi di salvaguardia dell’elemento in ambito internazionale. La Dieta Mediterranea, infatti, non rappresenta soltanto un modello culturale, ma anche un modello alimentare e di produzione sostenibile ad impatto ambientale ridotto.

La Dieta Mediterranea richiede un piano di misure nazionali volte a garantire la trasmissione alle generazioni più giovani e promuovere la consapevolezza delle comunità attuali. Necessità, quindi, di promuovere e salvaguardare la Dieta Mediterranea, secondo i principi definiti dall’UNESCO, attraverso il coinvolgimento degli enti territoriali, delle istituzioni, dei centri di ricerca e della società civile, nel rispetto delle normative nazionali e internazionali vigenti.

Con il termine Dieta mediterranea si intende un modello nutrizionale ispirato alla tipica alimentazione della popolazione italiana e greca. La scelta di questa area geografica e di questo periodo storico si basa su alcune evidenze scientifiche ed epidemiologiche.

Infatti i paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo condividono tradizionalmente la disponibilità degli stessi alimenti, derivati dall’agricoltura, dalla pastorizia e dalla pesca. Inoltre alcuni studi, ampiamente accettati dalla comunità scientifica, hanno provato che in queste aree geografiche, nei primi anni sessanta, l’aspettativa di vita era tra le più alte del mondo; al contrario l’incidenza di malattie come la cardiopatia ischemica, alcuni tumori e altre malattie croniche correlate alla dieta era invece tra le più basse del mondo; questo avveniva nonostante l’elevata abitudine al fumo, il livello socio-economico basso e la scarsità di assistenza sanitaria in quei luoghi e in quel contesto storico.

In numerosi altri studi condotti in contesti geografici ed economici differenti, utilizzando una dieta con le stesse caratteristiche, è stata osservata ugualmente una minore frequenza di malattie croniche e una maggiore longevità.

È significativo che la dieta mediterranea sia diffusa nelle aree che si affacciano sul mar Mediterraneo dove tradizionalmente vengono coltivati gli olivi, tanto che un’altra definizione accettata di questo pattern alimentare fa riferimento alla dieta praticata nelle zone mediterranee di crescita degli ulivi.

Esistono varianti della dieta mediterranea, meno definite e meno studiate, in altre parti dell’Italia e della Francia, in Libano, Marocco, Portogallo, Spagna, Siria, Tunisia, Turchia ecc. Infatti sul bacino mediterraneo si affacciano sedici nazioni: la dieta e le tradizioni gastronomiche di esse variano ampiamente a causa di differenze etniche, culturali, religiose, economiche e di produzione agricola.

La dieta mediterranea affonda le sue origini nella storia del nostro paese, pervenutaci per tradizione, nella forma e nelle consuetudini, dalle abitudini alimentari greche. Queste abitudini sono rimaste radicate e mantenute attraverso i secoli, prima dalla miseria che ha caratterizzato tutto il Medio Evo, quando il popolo era obbligato ad integrare con prodotti della terra e verdure di raccolta la scarna dieta a sua disposizione, e successivamente dalla tradizione contadina meridionale, che ha tesaurizzato le povere risorse alimentari con una saggia distribuzione dei suoi componenti.In effetti la tradizione alimentare dei contadini meridionali ha elaborato nei secoli quel sistema alimentare che oggi va sotto il nome di Dieta Mediterranea, e che un nutrizionista americano ha studiato e codificato con questo nome.

Ancel Keys, noto fisiologo americano, con notevoli esperienze nel campo degli studi sulla nutrizione, rimase colpito dalle abitudini alimentari della popolazione del Cilento, da lui conosciuta attraverso le esperienze di soldato, sbarcato a Paestum al seguito della quinta Armata nel 1944. L’esperienza italiana indusse il medico, terminata la guerra, a trasferirsi in Italia e precisamente in Cilento, in un piccolo paese dell’entroterra cilentano, Pollica, dove ebbe modo di approfondire i suoi studi sugli effetti che l’alimentazione meridionale ha nei confronti delle malattie moderne, cosiddette del benessere, e cioè ipertensione, arteriosclerosi, diabete ed in genere tutte le malattie cardiovascolari, che oggi affliggono i paesi occidentali e che hanno origine dalla cattiva alimentazione.

Il dott. Keys, negli anni Cinquanta, partendo dall’osservazione delle abitudini alimentari delle popolazioni rurali del meridione, elaborò la concezione che la bassa incidenza di malattie cardiovascolari fosse dovuta al tipo di alimentazione che queste popolazioni adottavano per tradizione secolare.

Questa dieta, intesa, proprio come spiega l’etimologia, come modo di vita, è incentrata sull’alimentazione a base di amidi (pane e pasta), cibi vegetali, integrata dall’uso di olio di oliva, con qualche variazione verso pesce e carne. In effetti il pranzo che ancora oggi consumiamo sulle nostra tavole del Mezzogiorno meno industrializzato ricalca questo tipo di alimentazione, con la differenza, non poco aggravante, che un qualsiasi pranzo moderno era considerato, negli anni passati, il pranzo “della festa”, con alimenti mangiati solo in via eccezionale. La dieta mediterranea prevede proprio questo: alimentazione quotidiana a base di pane, pasta, legumi, olio di oliva, verdure con poco formaggio, frutta e vino. Una volta a settimana a tavola erano permessi i cibi “di lusso”, ricchi di grassi: salumi, pesce, carni, dolci.

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