di Nicola Tavoletta e Giulia Scorziello

La ricorrenza cerca di ispirare chiunque a concretizzare le proprie aspirazioni e a non rinunciare ai propri obiettivi soltanto perché sembrano impossibili.

Il tema di quest’anno è Dream Forward, ovvero “sogna avanti”. In altre parole, è un invito rivolto a tutti i cittadini a sollevarsi e a prendere posizione per ciò che desiderano e meritano, non solo a titolo individuale ma anche per le loro famiglie, le comunità, le imprese e il mondo.

Infatti, sognare non è una cosa da bambini e ne abbiamo bisogno per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. I tre pilastri del World Dream Day sono la creatività, la collaborazione e la cooperazione.

I tre pilastri sono praticamente gli stessi dei parametri del lavoro buono individuato dal Papa, cioè: libero, creativo, partecipativo e solidale.

Ora apriamo uno spaccato sulla storia dei sogni.

In antichità il sogno rappresentava una connessione tra il mondo terreno e quello sovrumano. Si pensava recasse rivelazioni da parte degli dei in grado di preannunciare il futuro. La valutazione di queste immagini era affidata a vati e indovini che erano rigorosamente ascoltati e rispettati.

La prima testimonianza scritta è riportata in uno dei primi libri prodotti dal genere umano, l’Epopea di Gilgames, composta intorno al 2000 a.C. su tavolette di creta asciugata al sole e rinvenute nella biblioteca di Ninive nel 1852. Gilgameš sogna di incontrare Enkidu, con cui dapprima ingaggia una lotta, ma poi, riconosciutane la forza, lo porta davanti alla madre e lo adotta come gemello. Quando Gilgamesh racconta questo sogno alla madre Ninsun, lei lo interpreta in maniera profetica.

Infatti per i Sumeri vi era la interpretazione profetica dei sogni tramite il rituale della incubazione, attraverso il quale si dormiva in una cripta divina e poi veniva raccontato il sogno ad un interprete, che lo traducesse in significato.

Ciò, in maniera simile, accadeva anche per i greci e i romani.

Tra gli interpreti ve ne erano di famosi, come Artemidoro di Daldi, forse il primo a scrivere un’opera sull’argomento, intitolata L’interpretazione dei sogni.

A Roma e ad Atene gli incubi, invece, non erano mai solo prodotti della psiche, ma creature che si avventavano sul dormiente, demoni che saltavano sul petto, dal latino incubare che significa “mettersi a giacere sopra”. Divinità per i Greci e i Romani, veri e propri diavoli nel Medioevo.

Un rimedio contro i brutti sogni ci arriva da Plinio il Vecchio: “Occorrono lingua, fiele, occhi e intestino di pitone, cotti in vino e olio, durante la notte”, una soluzione la cui efficacia non si potrà facilmente verificare, considerando gli insoliti ingredienti richiesti. Se invece il vostro problema è l’insonnia, la proposta di Plinio, nella Storia naturale, prevede l’utilizzo del cavolo, da gustare “tritato con altri ingredienti”, oppure da accompagnare con un “intingolo”

bollito, questo cavolo libera anche dall’insonnia e dalla difficoltà di addormentarsi, se lo si mangia a digiuno, nella maggior quantità possibile, con olio e sale”.

Ho qualche perplessità, ma è totalmente soggettiva.

Nella Bibbia i sogni sono presenti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, tra questi quello di Claudia Procula, moglie di Ponzio Pilato, sulla innocenza di Gesù mentre il marito stava facendo decidere sulla condanna.

Nella letteratura, dopo quella sumera, il sogno è protagonista.

L’Iliade, l’Odissea, l’Eneide e la Divina Commedia ne fanno elemento ripetuto nei racconti e strumenti di comunicazione divina.

In un mondo ricco di convenzioni, moralismi, oppressioni fisiche e morali, leggi che regolano ogni aspetto della società, influenzandone il modo di agire e di pensare, l’unico strumento capace di alleviare le piaghe inconsce che l’uomo possiede è il Sogno e nel fantastico “Alice nel Paese delle Meraviglie” tutto ciò è rappresentato.

Dostoevskij, invece, ci lascia questa riflessione : “Sorridete per l’assurdità del vostro sogno e sentite nel contempo che nelle trame di questa assurdità si racchiude un qualche pensiero, ma il pensiero è reale, in qualche modo appartiene alla vostra vita reale, ed esiste, è sempre esistito nel vostro cuore, è come se nel sogno vi fosse stato rivelato qualcosa di nuovo, profetico e desiderato. L’impressione è forte, può essere gioiosa o dolorosa, ma non riuscite in alcun modo a capirne o ricordarne la causa o il messaggio che ha trasmesso”. I sogni trasmettono un sentimento profondo, lasciano un’impronta emotiva.

Eppure vi è ragione di ritenere che quanto vediamo nei sogni, se ne possano o meno trarre messaggi, è comunque in grado di produrre conseguenze di incalcolabile portata per il sognatore.

Antoine de Saint-Exupery, autore de “Il Piccolo Principe” ed aviatore militare, scrisse: “fai della tua vita un sogno e del tuo sogno la realtà”.

Per la psicologia e per la psicoanalisi, il valore dei sogni vive soprattutto nella loro dimensione simbolica. I sogni sarebbero l’espressione di pensieri, sentimenti e ricordi che di giorno evitiamo, ma che nei sogni emergono sia pure camuffati, perché da essi continuiamo a difenderci.

Freud fu il primo a sostenere che i sogni rappresentassero la via principale per accedere ai contenuti inconsci. Nella sua teoria l’enfasi è stata posta in particolare sul concetto di desiderio, secondo Freud infatti nel sogno i desideri rimossi e inaccettabili trovano una via per essere espressi. Il sogno può essere considerato quindi, già a partire da questi punti essenziali della teoria freudiana, come una forma di pensiero che si esprime principalmente per immagini, suoni, e sensazioni corporee e che ci permette di avere accesso a contenuti inconsci rimossi, sebbene in forma criptica.

Secondo Jung invece il sogno non poteva essere solo un “appagamento camuffato di un desiderio nascosto”, ma era qualcosa di più complesso: i sogni erano indipendenti sia dalla nostra volontà sia dalla nostra coscienza. Secondo lo scienziato gli oggetti e le persone di un sogno non erano sempre investiti di un desiderio mancato.

Inoltre, se da un lato Freud applicò alla realtà un punto di vista riduttivistico che lo portò a cercare di decifrare i segni presenti nei sogni, Jung, da un punto di vista teleologico e finalistico, si concentrò invece a rintracciare quale fosse la funzione dei sogni e quindi a decifrarne i simboli. Segni e simboli infatti rimandano a significati ben diversi: i primi vengono considerati significanti universali, i secondi rimandano a contenuti strettamente personali del sognatore, che ne riequilibrano la personalità.

Oggi sappiamo che il sogno è anche la via regia per accedere alla memoria. Studi scientifici dimostrano che il sogno ci consente una ‘rappresentazione pittografica e simbolo poietica’ di tracce mnesiche anche implicite significative, a-verbali e a-simboliche.

C’è un chiaro legame tra il sogno e la memoria, in quanto nelle sue espressioni il sogno stesso non farebbe altro che allacciare, con la sua ‘logica’ peculiare, tracce mnesiche esplicite e implicite, cercando una certa continuità con l’esperienza presente del sognatore. In altre parole il sogno rappresenta quel link mancante tra le esperienze del nostro passato e l’esperienza presente, in modo particolare interiorizza relazioni e vissuti emotivi. L’obiettivo delle produzioni oniriche è quello di ‘simbolizzare’, di cercare quei significati mancanti, che tuttavia non potendosi manifestare in quanto tali in forma diretta, si manifestano in forma di significanti dai molteplici significati. Questo gioco di parole aiuta e allena. Ecco che allora il sogno possiamo concepirlo come una forma di pensiero non scisso da quello diurno, ma come il proseguo, sebbene si sviluppi con una logica ben diversa, basata sulla metafora e su significati simbolici.

Il sogno può quindi rendere pensabili tutte le esperienze, anche quelle che non ci autorizziamo, divenendo il teatro in cui vengono messi in atto affetti ed emozioni che appartengono alla nostra storia relazionale che, contestualizzati nel qui ed ora della relazione terapeutica permettono di accedere al ‘mondo interno’, in particolare anche a quelle esperienze primarie presimboliche e preverbali, a volte traumatiche, che altrimenti non potrebbero essere ricostruite, risignificate.

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