Come il Sud Italia marginalizzò anche se stesso. Lo squilibrio tra fascia costiera e aree interne.

Il secondo conflitto mondiale, nella sua tragicità, restituì uno scenario nazionale che ampliava il dualismo tra l’Italia Settentrionale, economicamente avanzata, ed il Mezzogiorno, “storicamente depresso”, con una realtà agricola povera, assistita e polverizzata, e con un debolissimo tessuto industriale, arroccato in maniera intensiva a ridosso delle aree costiere metropolitane.

Col Dopogruerra, cadute le barriere dell’emigrazione, ebbe inizio un processo di spoliazione demografica delle aree interne del Mezzogiorno, con un esodo di massa orientato prima verso le aree economicamente più forti dell’Europa Nord-Occidentale e verso le regioni più industrializzate dell’Italia Centro-Settentrionale, poi verso i capoluoghi intra-regionali e nei maggiori centri contigui, con punte più marcate verso le aree costiere.

Il fenomeno dell’abbandono delle campagne e delle zone pedemontane e montane delle aree interne, favorito dalla tendenza “della concentrazione delle iniziative industriali in zone già sviluppate secondo la logica empiricamente legata ai fattori immediati della convenienza produttiva”, determinò la congestione delle aree metropolitane del Nord e, successivamente, con un parallelismo non casuale, le grandi conurbazioni del Sud, sicché al dualismo tipico della storia economica italiana, da una parte un gruppo di regioni industrializzate e prosperose del Settentrione e dall’altra il Mezzogiorno statisticamente ridotto a serbatoio di energie, si contrappone, nel Mezzogiorno, un’altra obiettiva diseguaglianza tra la fascia costiera congestionata e le zone interne sempre più depauperate.

Alla “pianificazione centralizzata”, del periodo anteguerra, fu contrapposto nella pianificazione economico-produttiva dello Stato repubblicano, un sistema istituzionale animato da una logica liberale, strutturato interventi tesi a ricostruire il tessuto nazionale, recuperando alla produttività le aree ritenute caratterizzate da un forte e generalizzato sottosviluppo. Il primo significativo intervento, voluto dallo Stato per il riequilibrio territoriale e la risoluzione della questione meridionale, fu l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (Legge 645 del 10-08-1950). L’intervento straordinario nella sua prima fase di attuazione si sostanzializza su due direttrici: da una parte il sostegno all’agricoltura, dall’altra l’intervento a redditività differita per le infrastrutture.

L’ideologia dominante che sostiene gli incentivi per le opere strutturali ed infrastrutturali, mira a privilegiare le aree attive di fondovalle, discriminando le aree interne montane, ritenendo di fatto inamovibile lo squilibrio tra fascia costiera e aree interne. Un ulteriore momento innovativo, che caratterizzerà la prima metà degli anni Cinquanta, fu la redazione dello “Schema Vanoni” (1954). La filosofia  sulla quale si basava l’impostazione dello “Schema”, portata avanti da Comitato per lo Sviluppo dell’Occupazione e del Reddito, insediatosi nel 1956, era quella di ritenere essenziale il sostegno finanziario da parte dello Stato nei settori propulsivi della produzione, sicuri che questi, una volta posti nella condizione di uno sviluppo organico ed auto propulsivo, avrebbero agito come elementi moltiplicatori, per nuovi investimenti, creando le condizioni favorevoli all’assorbimento occupazionale.

L’obiettivo di regolamentare gli indirizzi della programmazione economica svincolata dal “protezionismo liberare” posto tra gli scopi proclamati dello “Schema”, viene contraddetto nei fatti, configurandosi nel corso della sua gestione, come il prosieguo della fase protezionistica, che, pur se a volte inconsapevolmente, alimentava il dualismo territoriale. Nel 1955, con la firma del Trattato di Roma per l’istituzione del Mercato Comune Europeo, si avviò il processo, che avrebbe consentito all’apparato produttivo industriale, per la vastità delle problematiche relazionali e di mercato che si aprivano, di azionare una spinta auto propulsiva di sviluppo, capace di portare il Paese verso il “boom” economico, ponendo in secondo piano, se non proprio vanificando, il sostegno pubblico ipotizzato dallo “Schema Vanoni”. Così in modo definitivo le scelte di politica economica e sociale dello Stato italiano indirizzate ad un ipotetico riequilibrio territoriale Nord-Sud verranno relegate solo a studi ed ipotesi progettuali, di fatto in questo modo si deciderà di pianificare la più grande migrazione interna (da Sud a Nord) della storia d’Europa.

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